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Attualitá

Caffarra, e quell’amico che si tuffa

Caffarra, e quell’amico che si tuffa – andreatornielli.it

Cari amici, sono tornato dalla Colombia dove ho seguito il viaggio del Papa e dove – a causa dell’altitudine di Bogotà, ho avuto qualche serio problema di pressione. Non avevo cominciato nel migliore dei modi il viaggio, a causa della fake news di una mia imminente nomina a direttore di Avvenire, a cui si è aggiunto il giorno successivo un velenoso (e anonimo) articolo sul Foglio, nel quale riciclando una vecchia bufala circolata in ambienti clericali si diceva – senza fare il mio nome, ma lasciandolo intendere – che starei addirittura trattando con la Cei per ottenere cifre a sei zeri! Non c’è neanche un briciolo di verità in tutto ciò.

Mentre eravamo in volo verso la Colombia ci ha raggiunti la notizia (grazie al wifire di Alitalia) della morte improvvisa e inaspettata del cardinale Carlo Caffarra. Vorrei dire anch’io qualcosa su di lui. Ho atteso a farlo sia per motivi di salute (ora sto meglio, grazie a Dio), sia perché non desideravo neanche lontanamente far pensare di voler “mettere il cappello” su un porporato che suo malgrado è diventato un simbolo per una certa parte di critici dell’attuale pontificato. Anche se, a questo proposito, vorrei far notare 1) che Francesco ha lasciato l’arcivescovo di Bologna in carica per un biennio oltre i 75 anni, nominandolo al Sinodo sulla famiglia; 2) che la posizione di Caffarra non è sovrapponibile a quella del cardinale Raymond Leo Burke, dato che Caffarra non ha mai parlato della bizzarra “correzione formale” al Papa.

Non sono però i dubia al centro di questo post. Volevo parlare, invece, di misericordia, ricordando qualcosa che mi aveva colpito ascoltando una conferenza che il cardinale Caffarra aveva tenuto ad Ancona nel maggio 2016, in pieno Giubileo. In quell’occasione, tra l’altro, aveva sottolineato come la misericordia sia una caratteristica profondamente legata all’identità di Dio e aveva spiegato che il perdono di un peccatore è più grande della creazione. L’arcivescovo emerito di Bologna aveva anche parlato di due rischi opposti a proposito di giustizia e misericordia. Il primo – che egli riteneva oggi più presente nella vita della Chiesa – è quello della misericordia senza conversione, vale a dire della misericordia che non interroga né provoca un cambiamento, ma viene considerata alla stregua di un lasciapassare per giustificare il peccato. Questo rischio sfigura – spiegava Caffarra – l’identità di Dio. Il secondo rischio è quello di un cristianesimo ridotto a codice morale, a norme, leggi e divieti. E questo sfigura il vero volto del cristianesimo.

A proposito di questo secondo rischio, Caffarra faceva un esempio illuminante e commovente. Pensiamo – diceva – a due amici che camminano lungo un fiume. Uno sa nuotare, l’altro no. Quello che non sa nuotare ad un certo punto scivola in acqua e viene trascinato dalla corrente. L’atteggiamento di chi riduce il cristianesimo a una morale, a leggi e divieti, è simile a quello dell’amico che vedendo il compagno affogare, pretendesse di salvarlo restandosene all’asciutto sulla riva e spiegandogli come si fa a nuotare, cioè la teoria del nuoto.

Non è stato questo l’atteggiamento di Gesù. Il Nazareno è l’amico che si tuffa, si bagna, rischia e abbracciandoci ci salva dal turbinio della corrente che trascina verso il male. Certo, noi dobbiamo convertici, cioè permettere che Lui ci abbracci. Dobbiamo lasciarci avvicinare, lasciare che ci afferri, che amandoci ci porti in salvo. E’ bellissima, a mio avviso, la dinamica che il cardinale evidenziava con questo illuminante esempio. Perché ci parla dell’iniziativa del Dio che ci precede, di Gesù che entra nella casa del peccatore e si siede a mensa con lui, di Gesù che alza lo sguardo e vuole bene a Zaccheo, di Gesù che non condanna l’adultera e dunque non applica la legge di Mosè. Ci parla di un Dio che si coinvolge, entra nel groviglio delle nostre contraddizioni, e ci attrae con il suo amore e la sua misericordia. Certo noi dobbiamo permettergli di abbracciarci e di trarci in salvo, cioè dobbiamo riconoscere di aver bisogno di aiuto. Dobbiamo lasciarci salvare dalla corrente che ci trascina via. E dobbiamo tendere la mano ogni qual volta ricadiamo nel fiume, perché Gesù è l’amico pronto ad afferrarci nuovamente. “Quante volte?” chiedeva Pietro. “Settanta volte sette”, cioè sempre, rispondeva Gesù.

Ma quanto è diverso questo atteggiamento da quello di chi ha ridotto il cristianesimo a un manuale di precetti morali e di divieti, da chi pontifica sempre sui peccati (veri o presunti) degli altri, da chi spara giudizi senza nemmeno lasciarsi scalfire da un briciolo di umanità verso colui o colei che diviene oggetto della reprimenda. Senza abbracciare e coinvolgersi, si sfigura il cristianesimo. Allo stesso modo in cui si sfigura l’immagine di Dio facendo credere che il male sia bene e che il peccato non esista. A Dio, Eminenza. Lei che non ha mai smesso di testimoniare la salvezza di quell’abbraccio di Cristo che oggi contempla, senza dubia, nel Suo Volto glorioso.

R.D.V.

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R.D.V.

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