Correzioni “filiali” e lingua italiana

Don Antonio Livi
Correzioni “filiali” e lingua italiana – andreatornielli.it

Premetto di non voler in alcun modo fare polemica con i firmatari dell’ormai nota “correzione filiale” verso Papa Francesco (inviata al Pontefice l’11 agosto e resa nota poco più di un mese dopo perché il Successore di Pietro non aveva risposto). Mi limito a riportare le parole pronunciate dai due più autorevoli sostenitori del documento.

Il banchiere Ettore Gotti Tedeschi, già presidente dello IOR, ha dichiarato al telefono al sottoscritto domenica scorsa: «Condivido il documento ma non ho firmato come banchiere: è un richiamo fatto da intellettuali. I laici hanno diritto di esporre le loro critiche. L’unico intento che ho è il bene della Chiesa e di Papa Francesco, per il quale prego tutti i giorni nella messa. Io voglio bene al Papa, sono fedele alla Chiesa. Io non do dell’eretico al Papa, non lo penso neanche lontanamente. Sarei stupido se lo facessi, non sono un teologo».

Leggo ora che don Antonio Livi, il quale invece teologo lo è, anch’egli firmatario della “correzione filiale”, ha dichiarato a un blog: «Lui (Papa Francesco, ndr) non è personalmente e formalmente in eresia, non ne ha dette in modo palese. Lui non proclama cose che risultino eretiche, però le fa dire agli altri senza correggerle o smentirle, pertanto avallandole. Penso che sia quantomeno un peccato contro la prudenza ed è una prassi pastorale dannosa. Noi cerchiamo di farlo ravvedere sia nella prassi sia nella dottrina che risente negativamente del modernismo».

Ora, io, nonostante qualche studio classico, non ho la preparazione di Gotti Tedeschi né tanto meno quella di monsignor Livi e dunque può essere che mi sfuggano significati reconditi delle parole della lingua latina e anche della nostra lingua italiana. Ma nella “correzione filiale” resa nota la notte tra sabato e domenica leggo testualmente (in latino):

His verbis, actis, et omissionibus, et in iis sententiis libri Amoris Laetitia quas supra diximus, Sanctitas Vestra sustentavit recte aut oblique, et in Ecclesia (quali quantaque intelligentia nescimus nec iudicare audemus) propositiones has sequentes, cum munere publico tum actu privato, propagavit, falsas profecto et haereticas

Che tradotto (non traduco io, eh! uso la versione italiana “autentica” che campeggia nella prima pagina web del sito ufficiale della “correzione formale”):

Per mezzo di parole, atti e omissioni e per mezzo di passaggi del documento Amoris laetitia, Vostra Santità ha sostenuto, in modo diretto o indiretto (con quale e quanta consapevolezza non lo sappiamo né vogliamo giudicarlo), le seguenti proposizioni false ed eretiche, propagate nella Chiesa tanto con il pubblico ufficio quanto con atto privato.

Molto “filiale”, certo, ma anche molto duro. Ripeto, io sarò tardo di comprendonio e chiedo venia in anticipo, ma come fanno il dottor Gotti Tedeschi e il professor Livi a sostenere pubblicamente che loro non hanno dato dell’eretico al Papa e persino di non ritenere che il Papa abbia detto in modo palese eresie? Delle due l’una. O hanno firmato un testo senza leggerlo con attenzione – il che non è neppure da pensare, data l’autorevolezza e la competenza di entrambi, per di più nel caso di un documento così delicato e dirompente – oppure si sono resi conto di aver commesso un passo, diciamo, un po’ falso, e tendono a sminuire ciò che loro stessi hanno firmato.

Quello che faccio difficoltà ad accettare è l’insulto all’intelligenza dei lettori, scaricando come sempre la colpa su noi giornalisti e comunicatori, incapaci di capire i testi e di riportare fedelmente ciò che dicono: eppure gli estensori del documento, per essere sicuri che l’accusa di propagare eresie fosse ben scolpita con parole non interpretabili a piacimento da parte di chi legge, hanno pensato bene di metterle nero su bianco nella lingua di Cicerone. Per mezzo di parole, opere e omissioni, e per mezzo dell’esortazione Amoris laetitia il Papa ha sostenuto proposizioni false ed eretiche e le ha propagate con il suo ufficio papale: questo io capisco, questo c’è scritto. Se Gotti Tedeschi e Livi avevano in mente altro, forse non dovevano firmare e oggi potrebbero dissociarsi. Se avevano in mente questo, dovrebbero avere il coraggio di sostenerlo senza sofismi e giri di parole. Sempre con quell’amore “filiale” che pervade tutto il documento, s’intende, ma senza lanciare il sasso (firmando) per poi nascondere la mano (negando di aver dichiarato che il Papa ha pronunciato e propagato “eresie”). A meno di non cambiare il significato delle parole nei vocabolari di lingua latina e italiana.

* POST SCRIPTUM
Questa mattina (27/09) il professor Livi su La Nuova Bussola Quotidiana dedica molte righe per giustificare il suo diritto di firmare il documento sulle 7 eresie papali e prendersela con quanti lo hanno attaccato dicendo che non doveva firmarlo o quanti si sono soffermati di più sugli schieramenti conservatore-progressista invece di parlare dei rilievi in sé mossi all’attuale Pontefice. Livi afferma che il documento “contrariamente a come è stato presentato da commentatori poco attenti o inclini al sensazionalismo, non intende accusare il Papa di eresia ma lo richiama rispettosamente a non favorire ulteriormente la deriva chiaramente ereticale che inquina la vita della Chiesa”. Ora, visto quanto scritto più sopra, certamente il sottoscritto appartiene alla categoria dei poco attenti o inclini al sensazionalismo. Ribadisco: non ho la “sapientia cordis” né la vasta cultura del prof. Livi. Non sono teologo. Leggo soltanto il latino e l’italiano. E cerco di comprendere ciò che c’è scritto. Ebbene, nella sua non breve autodifesa sulla Nuova Bussola, presentata con il sobrio titolo “La verità che i lettori meritano”, il noto teologo correttore “filiale” del Successore di Pietro guarda caso non cita mai, ma proprio mai, la frase che trovate virgolettata qui sopra che attesta l’accusa al Papa di sostenere con le sue parole e le sue opere, e con il suo ufficio papale, in modo diretto e indiretto, proposizioni false ed eretiche. Chissà come mai non l’ha citata. Forse perché avrebbe avuto qualche difficoltà a spiegarla a noi ignoranti continuando ad affermare di non aver mai dato dell’eretico al Papa? Non mi permetterei mai di giudicare le intenzioni del teologo Livi né il grado di consapevolezza con il quale ha firmato (quali quantaque intelligentia nescimus nec iudicare audemus). Ma gli chiederei di non prendere in giro la nostra (nel mio caso, ahimè, assai limitata) intelligenza, cambiando le carte in tavola. Ha sottoscritto o no anche quella frase?

Il caso, peraltro, se non fosse serio (i “filiali correttori”, anche quelli che ora smentiscono ciò che hanno firmato, hanno compiuto un gesto drammaticamente importante) avrebbe i suoi risvolti umoristici. Se persino una frase latina della “correctio” si presta a essere così variamente interpretata (nonostante il senso a me paia piuttosto chiaro), quanto più deboli sono le affermazioni eretiche che i firmatari virgolettano come se il Papa o chi per lui le avessero pronunciate, mentre invece di tratta di loro personali deduzioni. Ora, a me sembra di ricordare che i canoni di condanna delle eresie prima di essere promulgati – anche a garanzia del presunto eretico – debbano accertare esattamente e senza dubbio alcuno il contenuto ereticale chiarendo inequivocabilmente ciò che è stato pronunciato e il senso in cui è stato pronunciato. Esattamente il contrario di ciò che accade nel documento “filiale”. Che ciò fosse ignoto a blogger, saggisti, docenti di materie varie e banchieri mal consigliati, lo si può capire. Non poteva essere ignoto a un teologo dogmatico del calibro di Livi, che ha dedicato parte dei suoi studi a discernere la vera dalla falsa teologia.

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