
«Non c’è un solo passo nelle Scritture, né in san Paolo né nei Padri e nemmeno in san Tommaso d’Aquino che parli contro la pena di morte…». Inizia così uno dei numerosi articoli che in questi giorni criticano il Papa per aver corretto l’articolo del Catechismo riguardante la pena capitale approfondendo la direzione già a suo tempo intrapresa da san Giovanni Paolo II. Era difficile che la decisione di Francesco venisse condivisa, del resto è sotto gli occhi di tutti che certi siti e blog sedicenti cattolici abbiano come unico programma di lavoro quotidiano quello di inveire contro il Successore di Pietro, qualunque cosa faccia o dica: ben inteso, sempre in nome di una “tradizione” e di una “dottrina”, la loro. Nei giorni scorsi, ad esempio, mentre infuriavano le polemiche per la caricaturale copertina di un settimanale con il grottesco “vade retro” a Salvini (titolo fatto apposta per provocare polemiche, esempio da manuale di quegli «slogan urlati che rimangono spesso vuoti» di cui parla Papa Bergoglio), taluni siti web gridavano contro la “demonizzazione” del vicepremier.
D’accordissimo. Se non fosse che proprio le stesse persone, dalle loro bacheche virtuali, ogni santo giorno demonizzano chi non la pensa esattamente come loro, foss’anche un povero vescovo wojtylian-ratrzingeriano, come quello di Reggio Emilia, “reo” di aver messo piede a una veglia anti-omofobia seppure soltanto per ribadire esattamente la posizione del Catechismo sui gay. Per non parlare del Papa (ovviamente) del presidente e del segretario della CEI, del quotidiano dei cattolici Avvenire… Tutti giornalmente “demonizzati” secondo la tecnica della character assassination.
Ma tant’è, ci si deve abituare, oggi questo passa il convento. Torniamo alla pena di morte. Apprendiamo dunque che «Non c’è un solo passo nelle Scritture, né in san Paolo né nei Padri e nemmeno in san Tommaso d’Aquino che parli contro la pena di morte…». Certo, ci sarebbe quel comandamento che recita “non uccidere”, ma i tradi-teologi del web sono certi che Nostro Signore in quel caso avesse in mente in modo particolare bambini non nati e malati terminali, non uomini ancora in forze da uccidere con la sedia elettrica. Del resto per molti secoli la Chiesa non è stata contro la pena di morte e l’ha persino applicata in nome della legittima difesa.
Non siamo teologi e dunque non ci azzardiamo a rispondere ricordando che «Non c’è un solo passo nelle Scritture, né in san Paolo né nei Padri e nemmeno in san Tommaso d’Aquino» che parli contro l’uso della pillola anticoncezionale, ma non per questo l’enciclica Humanae vitae di Paolo VI va messa in discussione. Anzi, quando si tratta di temi legati alla morale sessuale, allora ogni sfumatura e ogni distinguo decade e gli stessi che oggi s’indignano per il “no” alla pena di morte sono pronti a definire dogmaticamente infallibile e definitivo l’insegnamento dell’enciclica montiniana: peccato che né Paolo VI, né Giovanni Paolo II, né Benedetto XVI abbiamo mai voluto renderlo tale, seppur sollecitati anche da teologi e cardinali fan del dogma anti-preservativo.
Il giudizio sulla pena di morte è semplicemente cambiato perché sono cambiati i tempi in cui viviamo e perché l’epoca storica nella quale ci troviamo al mondo non è più quella di duecento o di mille anni fa. Certo, appare difficile da capire da parte di chi parla di “messa di sempre” e considera la tradizione come una stupenda farfalla incastonata nell’ambra, morta e immutabile. Il cambiamento del Catechismo sulla pena capitale – che già Giovanni Paolo II aveva deciso di operare, scegliendo poi di attenuarlo in parte, su consiglio di un collaboratore il quale gli disse che i tempi non erano ancora maturi – non significa in alcun modo giudicare gli ecclesiastici del passato che l’anno approvata e praticata. Significa soltanto affermare che quell’atto estremo di difesa per la società oggi non ha più ragion d’essere, perché la società stessa può difendersi adeguatamente dal reo senza bisogno di eliminarlo fisicamente.
È un po’ strano che tanti esperti di dottrina sociale della Chiesa fatichino a capirlo. Incomprensioni già accadute di fronte alle puntuali prese di posizione del magistero (non solo Francesco, ma anche Benedetto XVI e Giovanni Paolo II) sulla tutela del creato. Il cristianesimo non è una religione, è un avvenimento che accade nella storia. Dio s’incarna nella nostra storia. La Chiesa in ogni tempo è sfidata a testimoniare il Vangelo, a comprenderlo sempre meglio, a incarnarlo nel tempo che stiamo vivendo. Per questo oggi il “sì” totale alla vita e la considerazione della dignità di ogni essere umano fa dire alla Chiesa – al Successore di Pietro che ha ricevuto il compito di guidare e confermare nella fede come mandato preciso da Gesù – insieme al “no” all’aborto e all’eutanasia, anche un “no” alla pena di morte.