Con l’attesa Legge di Bilancio 2026, l’esecutivo Meloni si prepara all’ennesima riforma delle pensioni. Ecco le novità.
Di eliminare la Legge Fornero, come promesso in campagna elettorale, non se ne parla. Qualsiasi riforma che abbassi davvero l’età pensionabile o riduca i requisiti contributivi dovrebbe trovare infatti delle coperture economiche assai solide. Altrimenti, si rischia soltanto di far saltare i conti, già sofferenti, dell’INPS.

La riforma delle pensioni 2026 dovrebbe quindi puntare su interventi più marginali. Secondo le anticipazioni fornite da vari membri del Governo, l’esecutivo mira a introdurre maggiore flessibilità in uscita, ma con la dovuta attenzione alla sostenibilità economica delle nuove misure.
Si parla innanzitutto dell’addio alle “quote”, come Quota 103, che hanno riscosso scarsissimo successo tra i lavoratori. Le formule tipo Quota 103 (cioè la somma tra età e anni di contributi pari a 103) dovrebbero essere eliminate perché troppo costose e poco utilizzate.
Il Governo non intende invece cancellare Opzione Donna, anche se ci si attende l’introduzione di assegni sensibilmente più bassi. Un’altra conferma attesa è quella del cosiddetto bonus Giorgetti: un’agevolazione dedicata a chi rinuncia alla pensione pur avendone diritto, per così ricevere un premio in busta paga pari alla quota di contributi che sarebbe andata all’INPS. Cioè, circa il 9%.
L’idea centrale della riforma sembra essere la pensione anticipata a 64 anni. Il Governo sta lavorando per permettere l’uscita dal lavoro con quattro anni di anticipo rispetto ai requisiti ordinari, a condizione che si rispettino alcuni criteri: almeno 25 anni di contributi e un importo pensionistico superiore alla soglia minima, fissata al doppio o a una volta e mezza dell’assegno sociale.
INPS e Governo, piano pensioni: cosa aspettarsi davvero dalla riforma 2026
In merito alla pensione a 64 anni, si lavora anche per agevolare le donne con più figli e chi ha versato contributi con il vecchio sistema retributivo. Tuttavia, il calcolo dell’assegno sarebbe interamente contributivo, quindi meno favorevole. Potrebbero inoltre essere introdotte delle finestre di attesa di uno o due mesi prima dell’uscita reale.

Un’altra questione rilevante riguarda l’uso del TFR per integrare la pensione. L’esecutivo starebbe vagliando la possibilità di consentire ai lavoratori di utilizzare il trattamento di fine rapporto accantonato presso l’INPS per raggiungere la soglia minima pensionistica.
Da un punto di vista normativo, potrebbero sorgere problemi, poiché il TFR è considerato un salario differito e il suo utilizzo per fini previdenziali potrebbe snaturarne la funzione originaria.
Si discute anche della possibilità di destinare il TFR dei nuovi assunti ai fondi pensione. Dal 2026, il trattamento di fine rapporto potrebbe essere trasferito automaticamente in un fondo pensione, salvo esplicita opposizione entro sei mesi. Si tratta del cosiddetto “silenzio-assenso al contrario”… se non si dice nulla, il TFR viene versato nel fondo.
L’argomento più dibattuto in questi giorni è proprio la possibilità di andare in pensione a 64 anni. Secondo i sindacati, non si tratta di una concessione, ma di una sorta di trappola: per accedervi servono almeno 25 anni di contributi e una pensione che superi una soglia minima. Chi ha lavorato poco o è stato pagato male, come la maggioranza degli italiani, rischia di restare escluso. In pratica, resta appeso.
Il ministro Giorgetti ha anche ipotizzato il congelamento dell’età pensionabile. Questo parametro, che dovrebbe salire in base all’aspettativa di vita, potrebbe restare fermo. Ma lo stop costerebbe circa 300 milioni di euro l’anno.